Mentre ieri pomeriggio ero al Cloud Communities Day organizzato da EuroCloud Italia, e si è discusso di Cloud Computing, Cloud Ops, e altre fantastiche cose, il mattino (e il weekend che l’ha preceduto) non sarebbe potuto essere più differente.
Oggi è martedi, e arrivo da un weekend di lavoro che oramai è un classico: la virtualizzazione di alcuni sistemi fisici di un paio di clienti. Questa volta ne ho seguiti addirittura due in contemporanea, muovendo tra le altre cose un Windows SBS Server 2008, che benchè sia migliorato parecchio rispetto al suo predecessore 2003, è sempre un’attività da non prendere sottogamba. Ieri ho provveduto a verificare che tutto funzionasse correttamente, e più che altro ho fatto un giro da entrambi i clienti per “farmi vedere” e rincuorarli che in caso di necessità io fossi pronto a intervenire.
Ovviamente le migrazioni sono andate bene, a parte alcuni particolarissimi casi oramai queste attività sono ben consolidate e danno sempre risultati positivi, ma più che altro mentre partecipato alla conferenza pomeridiana, riflettevo su come veramente il mondo viaggi almeno a due velocità (secondo Massimo Re Ferrè ne ipotizza 3).
Per una larga parte delle società italiane (e penso che nel resto del mondo non sia tanto differente), la virtualizzazione è ancora nella prima fase: il puro consolidamento.
Non si parla nemmeno lontanamente di line di business, time to market, o tanto meno di IT-as-a-Service. Tutto è ancora giudato dall’idea di risparmiare soldi usando lo stesso hardware per eseguire numerosi server, un risparmio di tempo (e quindi di soldi) nel realizzare in futuro un nuovo server, e una maggiore efficienza di backup e ripristino dei server sfruttando l’indipendenza dall’hardware sottostante. Per tutti questi clienti, l’esecuzione della prima vMotion è ancora una cosa che lascia a bocca aperta, e tutte le cose che è possibile fare su un’infrastruttura virtualizzata risultano come dei vantaggi incredibili che non si possedevano fino al giorno precedente.
Ovviamente, le applicazioni che oggigiorno vengono virtualizzate così come sono, partendo dal mondo fisico, sono sempre le solite, sempre più “Legacy”, ma anche dannatamente “CORE” per l’azienda che le utilizza. Prendiamo uno dei due clienti di questo weekend: una delle virtualizzazioni ha riguardato un server Windows 2003 su cui è in esecuzione quelli che io chiamo simpaticamente “gestionali CAD”, ovvero quei software che permettono a un team di disegnatori CAD di condividere progetti, componenti, disegni. Il software è basato ancora su Oracle 9i (rilasciato nel 2001) e gira solo su Windows 2003 (ovvero un sistema operativo di 10 anni fa…). Ma questo sistema è il cuore dell’azienda, e fintanto che non è possibile aggiornare o migrare il software a una piattaforma più recente, è TASSATIVO pare in modo che questo server funzioni.
In queste situazioni, il cliente è ancora alla ricerca di una infrastruttura estremamente affidabile che possa sopperire alle lacune di resilienza del software. Questioni come autoscaling, cloudburst o simili sono ragionamenti “da macchinetta del caffè”, mentre la quotidianità è un sistema Legacy da far funzionare per ancora lungo tempo.
Ripenso alla battaglia sulle infrastrutture di Public Cloud, e di come a leggere certi articoli VMware debba giocarsela con player molto pericolosi. Beh, a me pare che moltissimi clienti abbiano ancora bisogno di un solido hypervisor su cui eseguire i loro applicativi. Sicuramente il Cloud arriverà, ma probabilmente non ovunque con le stesse tempistiche che si ipotizzano in Silicon Valley.
Infine, sarebbe molto interessante se VMware pubblicasse delle statistiche di download del suo Converter mese su mese negli ultimi 10 anni. Secondo me, non vi è stato un calo così drastico nel suo utilizzo, segno che di server fisici da virtualizzare è ancora pieno il mondo. E per tutti questi servirà un hypervisor…