Settimana scorsa sono stato invitato a partecipare ai festeggiamenti dei 40 anni dell’ATED, associazione di informatica del Canton Ticino, in quel di Lugano.
Durante l’aperitivo, i partecipanti avevano la possibilità di parlare con alcuni esperti di varie tematiche, e il mio era (ovviamente) virtualizzazione e cloud computing.
Tra le numerose persone con cui ho avuto modo di parlare, una domanda è stata ricorrente:
il vostro datacenter vCloud fisicamente dove si trova?
Questo mi ha fatto una volta di più pensare a quali sono gli elementi fondamentali che spingono (o trattengono) un’azienda nell’adottare il modello del cloud computing. Non tanto la tecnologia, non tanto la qualità della connettività offerta, ma la territorialità dei dati.
Sapere che il nostro datacenter è dislocato in un punto preciso, è volendo visitabile, che il suo sito di disaster recovery è anch’esso ben definito e dislocato anch’esso in Svizzera (e quindi in caso di failover i dati non finiscono improvvisamente in un’altra giurisdizione) ha rassicurato non poco gli interlocutori. Qualcuno di questi mi ha fatto notare come risposte avute da altri fornitori sono state più vaghe, fino ad arrivare alla solita risposta commerciale “facile, i dati sono nel cloud…”, che solitamente più che attirare i clienti li fa scappare a gambe levate.
Un’ultima nota: sia clienti italiani che svizzeri, ma è già capitato anche con altre nazionalità, sono scettici nei confronti di quei Cloud Providers che vuoi per posizone geografica dei datacenter, vuoi per composizione societaria, ricadono nell’applicabilità del Patriot Act americano. Come dar loro torto?